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Già
nell'età del rame (circa 3000 anni avanti Cristo),
delle tribù di allevatori si erano stanziate
stabilmente nella valle.
Non si trattava di villaggi grandi
e frequenti come quelli medievali, o moderni; ma è
certo che essi, anche se probabilmente costituiti da poche
capanne di legno stuccate di argilla, erano distribuiti
lungo la grande via di comunicazione che ha sempre collegato
il Mar Tirreno alla Pianura Padana.
Gli uomini eneolitici
della Lunigiana praticavano un culto della figura umana, il
cui rituale c'è ignoto, ma che si esprimeva scolpendo
in modo stilizzato figure femminili e maschili nella pietra.
L'arenaria-macigno usata veniva lavorata con strumenti di
pietra molto duri e tenaci, e le statue-stele che ne
derivavano erano comunque assai pesanti: in media dai 150 ai
300 chili.
Perciò, anche dopo essere state abbattute,
e spesso spezzate intenzionalmente per l'arrivo di nuovi
culti, restavano sul posto e venivano sepolte poco lontano
da dove erano state erette.
A Filattiera si vedono ancora
statue-stele nelle frazioni di Scorcetoli e di Gigliana, ma
sono state trovate anche sotto alla pieve di Santo Stefano,
dove una di esse, mancante di testa, funziona ancora da
pulpito.
Quando nel 155 avanti Cristo il console Claudio
Marcello sconfisse le ultime resistenze opposte dai Liguri
all'occupazione romana, trovò a Filattiera un
villagio di capanne poste sulla collina retrostante lo
sperone di Castelvecchio, separata dalla "Selva", l'unica
via di facile accesso alla collina, con un profondo vallo
artificiale, ancor oggi visibile.
Gli abitanti sopravvisuti
vennero deportati nel Sannio, come già trentanni
prima migliaia di Liguri-apuani. Della Selva si raccontava
fino dagli inizi del nostro secolo una leggenda riguardante
il "ballo dei morti", la cui origine si è perduta nel
tempo. E' certo invece che i Liguri-apuani di Filattiera
sepellissero le urne con le ceneri dei defunti ai piedi
della collina, dove passa adesso la ferrovia.
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