Il
Falò
Attraverso il falò si può viaggiare all'indietro nel tempo, quando
dal fuoco dipendeva la vita o la morte delle comunità. Le fascine
dei fuochi di Natale a Pontremoli, hanno radici antiche. Se pioveva
era impossibile, se non pioveva era difficile. Occorrevano pazienza,
muscoli, e qualche volta lo sforzo di parecchie persone. Per fare
una cosa semplicissima: accendere il fuoco. Un tempo, però, non
c'erano i cerini, i minerva e gli svedesi. Accendere il fuoco
era d'avvero una bella impresa, tanto bella che quando riusciva
si facevano speciali cerimonie per l'occasione. Perché il fuoco
significava poter cuocere i cibi, lavorare i metalli, produrre
vasi e mattoni d'argilla. Il fuoco, nelle stagioni fredde, significava
calore, vita. La perdita del fuoco, al contrario, poteva significare
per le comunità il freddo e la fame: la morte. La festività del
"dio del fuoco" erano celebrate all'inizio della stagione più
fredda dell'anno per invocare la sua presenza vitale contro il
freddo dei mesi invernali. I falò che in alcune località della
Lunigiana spendono durante alcune sere invernali hanno questa
lontana origine. Scomparso il culto pagano, sono legati a feste
patronali o ricorrenze della religione cattolica. In alcuni luoghi
sono diventati il simbolo festoso di rivalità frà i campanili.
Così a Pontremoli, dove da tempi lontanissimi le due parrocchie
di San Nicolò e San Geminiano si sfidano in una gara alla fiamma
per fare il falò più alto ed imponente.