|
|
Dante Costellucci, detto Facio, uno dei capi più coraggiosi della guerra partigiana, fu fucilato nel 1944 col pretesto del furto di un lancio. Dietro quel finto processo ombre e verità sulle quali ormai si deve far luce.
Come ha scritto Mauro Calamandrei: «Non è Facio che dobbiamo compiangere; compiangiamo invece i suoi fucilatori e soprattutto i loro mandanti, capaci di tanta scelleratezza» |
|
Questo articolo è stato pubblicato nel mese di ottobre 1990 sul mensile Lunigiana la Sera. Lo riproponiamo come itinerario per «I luoghi della resistenza in Lunigiana» |
|
|
|
|
APPROFONDIMENTI
I LUOGHI DELLA RESISTENZA IN LUNIGIANA
Il caso Facio, il finto processo e le verità nascoste
di Maurizio Bardi
Quella del 21 luglio è una giornata di mezza estate particolarmente afosa. Un vento caldo sfiora le piante che sbucano come lance sui monti intorno a Zeri.
Mi sono alzato presto per arrivare nella prima mattinata ad Adelano.
Quella del 21 luglio è una giornata strana: è la prima volta che salgo da queste parti ed appena dopo qualche ora mi pare di conoscere tutto il paesaggio intorno.
Ho dormito poco ed ho pensato tutta la notte inseguendo con la mente dei colpevoli o forse dei mandanti.
Intorno sui prati ci sono ormai troppi villeggianti, troppi bambini che gridano, che giocano a palla.
All'alba del 21 luglio Dante Castellucci, detto Facio, è stato ammazzato a fucilate proprio sul dosso di questa montagna. Sì, lo confesso: questa storia, la storia di questa morte assurda, o forse anche troppo chiara, mi ha appassionato ed emozianato come se fosse successa ieri.
La sentenza di morte era stata firmata durante la notte dall'ex commissario politico dello stesso battaglione di Facio, Antonio Cabrelli, o meglio Salvatore.
Ma perchè fu firmato quell'ordine? Chi aveva ispirato il Tribunale speciale ad emettere la condanna col banale pretesto del furto di un lancio?
Le rivalità tra piccoli capi partigianii o qualcuno molto più in alto? Nemmeno Facio riusciva a capirlo e stava andando a morire per mano dei suoi compagni senza sapere perchè.
Verso le cinque il fatto è avvenuto. Sono partiti dieci, forse venti colpi da fucili che non volevano sparare. Poi il silenzio. Poi le grida. Poi nuovo silenzio. Per Laura Seghettini, la sua compagna, per Libero Spuri, per Antonio Pocaterra, rinchiusi in una cantina dopo avere accompagnato la sera prima il capo e l'amico ad Adelano, sono stati il segnale che il fatto era avvenuto.
Rimango qui a scaldarmi al sole guardando intorno le montagne.
So esattamente come il fatto è avvenuto. So esattamente quello che è avvenuto nelle ore immediatamente precedenti.
Il finto processo Verso la metà del finto processo è arrivata Laura. Lui stava zitto e non si difendeva. Lei lo ha pregato, lo ha scongiurato di dire tutto quello che sapeva su Salvatore, sul personaggio che lo stava accusando. Ma lui non si difendeva, perlomeno davanti ad un tribunale dei partigiani. Dopo la sentenza lo hanno rinchiuso in una cantina insieme a Laura ed a un gruppo di uomini che dovevano sorvegliarlo a vista. Tutti lo conoscevano di fama. Questi uomini non volevano la sua morte, volevano che scappasse. Laura lo ha pregato, lo ha scongiurato di scappare. Ma lui non voleva, perlomeno non dai partigiani..
Alla mattina alle cinque lo hanno portato fuori nel prato. Facio era l'unico che non tremava. Il plotone non voleva sparare, finchè lui ha gridato di farsi coraggio, di puntare e premere il grilletto.
E cosi hanno fatto. Così ha avuto fine la vita di Dante Castellucci, detto Facìo, intellettuale calabrese emigrato in Francia, uno dei comandanti più coraggiosi della guerra partigiana.
Hanno gridato forte i suoi amici, imprigionati nella cantina e svegliati bruscamente dal rumore ritmico delle pallottole da esecuzione. Poi per tanti anni il silenzio.
Durante la notte Facio ripensava al perchè lo volevano morto. E al suo passato.
Emigrato in Francia, a Parigi aveva studiato filosofia alla Sorbona ed aveva imparato a suonare il violino.
Ah, fosse rimasto là, non avrebbe mai conosciuto Salvatore, il suo assassino! Ma non avrebbe nemmeno conosciuto i fratelli Cervi, le loro idee libertarie, il loro coraggio. E allora meglio così!
L'amicizia con i Cervi
Nel 1942 Facio aveva disertato e si era rifugiato a Reggio Emilia. Papà Cervi ha di lui un ricordo preciso: «Era un intellettuale malinonico e riflessivo». Facio condivide in quei giorni la vita dei suoi figli. Con loro organizza la guerriglia cittadina contro i tedeschi. Con loro sale sulle montagne. Quando poi i Cervi vengono catturati, sarà proprio lui a studiare il piano per la loro liberazione. Ma i Cervi vengono fucilati innaspettatamente senza processo. Qualcuno, forse tra gli stessi partigiani, aveva avvisato i fascisti di un imminente colpo di mano.
Facio è frastornato. Si aggrega al distaccamento Picelli nell'alta Val di Taro e diventa un eroe. Quando nella battaglia di Borgotaro muore il comandante Fermo Ognibene, Facio, per volontà di tutti, lo sostituisce. Le sue doti non sono solo militari. E' colto, è pieno di ascendente verso i partigiani e verso la popolazione. Il suo nome circola tra la gente quasi come una leggenda. In quei mesi un ispettore centrale del CNL visita il distaccamento di Facio. Il suo rapporto, contrariamente alla norma, non è per niente burocratico, anzi pieno di entusiamo: Facio viene definito «pieno di passione umana, acuto di ingegno, intelligente, coraggioso, ottimo comandante rnilitare.»
Nell'estate del 44 la sua formazione, forte di una cinquantina di uomini, è già un mito. Parla di socialismo libertario, di democrazia. Tutti vogliono andare con lui, e lui può scegliere i suoi uomini fra i migliori.
Ma spuntano i nemici. Tra questi Tullio, un capo partigiano che dopo la guerra finirà male, tra rapine e atti di delinquenza comune, e sopratutto Antonio Cabrelli, detto Salvatore, con il quale il destino gli sta preparando un fosco appuntamento. Antonio Cabrelli, militante comunista, durante il fascismo si era rifugiato a Mosca e lì aveva frequentato la scuola di partito. Aveva poi militato in Spagna nelle Brigate Internazionali, rigidamente inquadrate dai burocrati sovietici. Lì aveva partecipato alla eliminazione degli anarchici spagnoli durante la breve esperienza della Repubblica di Catalogna.
Scrive Amendola: «Il partito comunista francese aveva scelto Salvatore come suo rappresentante per controllare l'attività dei comunisti italiani operanti in Tunisia. Ma Salvatore in Tunisia fu fermato ed espulso dalle autorità francesi, che mostrarono prove fotografiche di una sua attività di spionaggio per conto dei servizi segreti fascisti.»
Dopo essere rientrato in Italia Salvatore aderisce alla resistenza, si presenta a Facio e gli chiede di essere accettato nella sua formazione. Buon oratore, aspira a diventare commissario politico, vantando lunghi anni di esperienza. Ma il comando di Parma blocca la nomina e in un'assemblea tra i partigiani Facio informa i compagni dei dubbi che circolano su Salvatore, che comunque è nominato egualmente commissario di un distaccamento.
Nel 1944 i partigiani di Facio sono impegnati in grandi battaglie, come quella del Lago Santo, nella quale dodici uomini tengogono testa a 180 repubblichini, suscitando persino in questi ultimi ammirazione e rispetto. Verso i primi di luglio del 1944 Facio si lamenta della scarsa attività di guerra del distaccamento in cui milita Salvatore, il quale per di più
non partecipava mai ad azioni di guerra. Da quel momento tra Facio e Salvatore è scontro aperto. Il comissario politico rifiuta l'ordine di rientare nel territorio di competenza, rifiuta di obbedire agli ordini del CNL di Parma, e si mette a disposizione della resistenza ligure con cui aveva allacciato da tempo relazioni e rapporti preferenziali.
Il PC spezzino nomina Salvatore commissario politico
Nei primi giorni di luglio tutti i capi partigiani che operano tra La Spezia e la Cisa si riuniscono a Zeri per fondare la prima divisione ligure. Ci sono testimonianze (riportate anche da Giacomo Vietti in un volume edito dall'associazione Nazionale Partigiani di Parma) che Salvatore in quei tempi si agita molto, compie frequenti viaggi ed intrattiene stretti rapporti con dirigenti comunisti liguri di stretta osservanza moscovita. Ed è proprio il partito comunista spezzino che lo nomina in quell'occasione comissario politico.
La tragedia di Facio sta per compiersi. Il comando della sua divisione è a Parma. I suoi uomini soffrono gravi stenti per i rifornimenti di viveri e di armi. Con le formazioni liguri, grazie a Salvatore i rapporti sono pessimi. Tutti i lanci appartengono agli spezzini. Ormai questo è il loro territorio. Il 18 luglio un uomo di Facio trova una piastra di mortaio paracadutata dal cielo. Il Comandante ordina di trattenerla. Il 19 un'altro lancio non raggiunge la formazione di Beretta a cui era destinata, in quanto la formazione è sbandata per un rastrellamento. Nessuno si presenta a raccogliere il materiale e allora Facio ordina di nuovo di trattenere il materiale.
Per accusare Facio esiste ormai un pretesto. Il 20 luglio ad Adelano si riuniscono i capi della divisione ligure, appena costituita. Salvatore riesce a convincerli a nominare un tribunale per processare Facio.
Un delitto politico
Sono in diversi a capire che Salvatore è poco più di un esecutore, anche se molto interessato, di decisioni prese atrove.
Ma dove e da chi?
Alcuni si scandalizzano e lasciano la riunione, ma il tribunale viene nominato egualmente: è composto da Tullio, da Renato Arduini, da Salvatore e da Nello e Luciano Scotti. Sono loro che attirano con una scusa Facio all'accampamento di Adelano, sono loro che lo invitano a bere appena arrivato, sono loro che lo disarmano e lo percuotono. Poi lo condannano a morte.
La sentenza ha la firma di Salvatore, anche a nome del partito comunista. A tanti anni di distanza i giudici di Facio sono morti, tutti tranne Scotti.
Scotti vive a La Spezia dove è stato a lungo comandante dei vigili urbani della città.
Lui sa. Sa esattamente chi ha voluto quella morte e quando e dove è stata decisa. Certamente non da Salvatore, ma da qualcuno dal quale Salvatore andava a prendere ordini nei suoi frequenti viaggi. Scotti non ha mai voluto parlare. Assolutamente.
Sono molti i dirigenti comunisti che in quarantanni hanno fatto la spola tra Roma e la casa pontremolese di Laura Seghettini, la sua compagna. Perchè? Cosa cercavano? Chi proteggevano?
Dante Castellucci, detto Facio, calabrese di passione, parigino di cultura, aveva condiviso il comunismo libertario dei fratelli Cervi, che non andava a genio ai dirigenti di partito formatisi alla scuola di Mosca. D'altronde, ormai è certo, la cattura dei fratelli Cervi è stata possibile grazie ad un tradimento di un loro compagno.
Come in Spagna?
Qualcosa di simile è forse avvenuto per Facio. Qualcuno in alto temeva lo spirito del comunismo libertario, temeva quello che Facio aveva imparato dai fratelli Cervi e quello che sapeva sulla loro morte.
In Spagna le brigate intemazionali, fedelissime di Stalin (nelle quali aveva militato Salvatore), non avevano forse sterminato gli anarchici, loro compagni di lotta contro Franco, pur di non mettere in discussione il modello stalinista?
Così è morto Facio, ad Adelano in Lunigiana in un'alba di luglio di mezzo secolo fa. Poi quarantacinque anni di silenzio.
Ora è arrivato il momento di capire, non di compiangere. Perchè la verità è l'unica ad essere rinnovatrice. Perchè, come ha scritto Mauro Calamandrei: «Non è Facio che dobbiamo compiangere; compiangiamo invece i suoi fucilatori e soprattutto i loro mandanti, capaci di tanta scelleratezza»
|